A CURA DI GABRIELE PAOLINI.
“Dai quartieri Spagnoli
alla
Croisette di Cannes”
di
Max Bellocchio
LA VITA E I SUCCESSI DI UN RAGAZZO
Salve, mi chiamo Alessandro Occhiobuono, ma molti mi conoscono con il mio nome d’arte, Max Bellocchio, sono un regista di film hard. La mia carriera è cominciata a Napoli ed è proseguita in giro per il mondo, ma prima di entrare in questo mondo, ho avuto una vita un po’ particolare, ho passato parte dell’infanzia in un night club, sono stato uno dei playboy della stazione di Napoli, ho girato il mondo, sono stato un ufficiale dell’esercito Italiano al tempo del tentato golpe Borghese, insomma ho passato tante avventure, che i miei amici mi chiedevano di raccontare durante una cena, un viaggio in auto, una riunione di vecchi compaesani, un incontro di lavoro e tutti mi dicevano dovresti scrivere un libro, ed eccomi qui a raccontare, a chi avrà voglia di ascoltarmi, un po’ della mia vita, lo farò come l’ho sempre fatto, con la spontaneità che mi ha sempre distinto, come se fossi seduto lì davanti a voi, nel vostro salotto ho davanti ad un piatto di spaghetti.
Credo di essere stato l’unico bambino al mondo ad aver passato una parte della sua prima infanzia in un Night Club, esattamente nel camerino delle spogliarelliste……ma andiamo per ordine.
La seconda guerra mondiale è finita da sette anni, siamo nel 1952, in un appartamento al secondo piano di Via San Giacomo al centro di Napoli vengo alla luce, il 23 marzo, ultimo di quattro figli, dopo Giulia, Lisa e Vincenzo. Ed è qui che il destino mi porta a passare gran parte delle mie notti, al “Trocadero”, il più famoso night club di Napoli situato sul lungomare Caracciolo, l’attuale Club 21. Scoprirò da adolescente che la proprietaria era una contessa famosa per aver fatto esibire nel suo locale il primo transessuale che si fosse mai visto in Italia, Amanda.
Vi chiederete come può un bimbo di pochi mesi, che dovrebbe passare le sue notti nella sua culla, abbracciando il suo peluche, ad essere invece circondato da spogliarelliste, transessuali e entraineuse, ragazze addestrate ad intrattenere i clienti e indurli a consumare bevande costose.
La risposta sta’ nel lavoro dei miei genitori, Mario e Rosa entrambi sono sarti. Mia madre fa la costumista al Trocadero, di giorno riempie di paillettes scintillanti, mutandine e reggiseni e di notte li porta al locale dove resta fino a quando tutte le spogliarelliste non si sono esibite, pronta ad intervenire se c’è bisogno di cucire un bottone che si è staccato o qualche strass caduto.
Essendo le mie sorelle ancora piccole, mia madre non se la sente di lasciarmi a casa, cosi tutte le notti che va al locale mi porta con sé, avvolto in una coperta e con il mio pigiamino giallo. Anni dopo mi dirà che andava a piedi al locale subito dopo cena e dopo aver messo a letto gli altri tre figli e che ritornava, con i soldi guadagnati nel reggiseno, alle 4 del mattino, senza che nessuno le desse fastidio.
Negli anni successivi e con la crescita della criminalità, rimpiangerà spesso quel periodo, dove si poteva tranquillamente attraversare di notte la città senza temere di essere aggrediti.
Di quella esperienza non ricordo nulla, passo le notti dormendo, incurante di bellissime donne, per lo più straniere, che mi passano accanto completamente nude tra un cambio di costume e un po’ di riposo tra uno show e l’altro.
Il destino già mi dà un segnale, a poche mesi dalla mia nascita mi trovo circondato da donne nude, ma ancora troppo piccolo per apprezzarne il fascino e la bellezza.
Gli anni passano, siamo nel 1959 ho 7 anni e ci trasferiamo in un altro appartamento più grande, in una delle più belle e prestigiose strade di Napoli, a poche centinaia di metri da via San Giacomo, l’attuale Via Toledo, all’epoca Via Roma, al numero 306.
Qui un altro segno del destino, i balconi non affacciano su via Roma, ma sui quartieri spagnoli, un dedalo di piccoli vicoletti, chiamati così perché tra il 1500 e il 1600 accoglievano le guarnigioni militari spagnole.
Ad ogni angolo ci sono prostitute, rigorosamente Napoletane, con gonne cortissime e scollature da capogiro in attesa dei marinai americani che stazionano con le loro grosse portaerei nel golfo di Napoli.
Gli “scugnizzi”, giovani ragazzi napoletani che vivono di espedienti passando la loro giornata in strada, agganciano i soldati americani all’United States Organization, conosciuto con la sigla USO, un centro di ricreazione, intrattenimento, e assistenza a terra per i marinai americani, situato in via Calata san Marco a pochi passi da piazza Municipio e dal porto.
Da lì con la promessa di accompagnarli da giovani prostitute in cambio di qualche dollaro, li portano in queste strette viuzze dove ad accoglierli ci sono donne di tutte le età, ma non sono sempre notti felici.
Dalla mia postazione, il balcone ad angolo che mi permette una vista a 180 gradi sui vicoli sottostanti, osservo quello che succede e spesso vedo americani ubriachi, depredati di tutto quello che posseggono, gli scugnizzi arrivano perfino a spogliarli completamente delle loro divise, che troveremo poi in vendita al mercato dei panni usati di Resina, lasciandoli in mutande stesi per terra in una delle tante viuzze fino a quando altri soldati, con una fascia sul braccio dove ci sono due grosse lettere MP, che sta’ per Militar Police, polizia Militare americana non vanno a raccoglierli per riportarli sulle loro navi.
Un po’ di anni dopo anche io, come tantissimi ragazzi napoletani, comprerò e indosserò i famosi pantaloni in panno blu scuro, appartenuti a qualche marinaio, con la famosa apertura anteriore formata da una doppia fila di bottoni e sgambati in basso, quasi sempre accompagnato dal tipico Deck Jacket, giaccone doppio petto con i famosi bottoni decorati con l’intaglio di una inconfondibile ancora. Tutti in vendita per poche lire al mercato delle pezze ad Ercolano. Sfido qualsiasi persona della mia età, che all’epoca viveva a Napoli a non averne indossati almeno un paio.
Ma all’epoca sono ancora piccolo, non capisco tutto quello che succede sotto di me, non so cosa fanno quelle donne sempre ferme all’angolo del vicolo, ma mi affascina quel mondo, e passo ore affacciato al balcone, ho anche un piccolo passatempo, invece di fare la pipi nel bagno, spesse volte la faccio dal balcone scappando subito dopo appena le donnine cominciano ad inveire contro quello che le ha fatto la pipi addosso, usando un linguaggio da camionisti. Non mi scopriranno mai.
Molti anni dopo, alcuni produttori tedeschi di film hard, gireranno delle scene del genere “Pioggia Dorata”. Altro segno del destino?
Siamo nel 1963, ho 11 anni, non faccio più pipi dal balcone, e non osservo più le prostitute, ho qualcosa di meglio da fare.
Mia madre e mio padre passano tutto il giorno nella stanza più grande della casa adibita a laboratorio, dove tagliano e cuciono tutto il giorno, ricordo ancora che mano a mano che faceva scuro si avvicinavano al balcone per non accendere la luce e consumare corrente, ad aiutarli c’è una “lavorante” credo si chiamasse Carmela, sempre con un camice nero che non abbottonava mai completamente,
Carmela aiuta i miei genitori, ma in qualche modo aiuta anche a stimolare la mia sessualità.
Con la scusa di giocare a terra con dei soldatini, i classici cow boy e indiani, e approfittando che le mie sorelle sono in cucina e mio fratello sta’ studiando, guardo sotto la gonna di Carmela, che accorgendosi di cosa sto’ facendo, non disdegna, anzi, mi sorride complice, ma il momento più eccitante viene quando Carmela ha finito di lavorare e deve andare a casa, puntuale va prima in bagno per poi cambiarsi. Io dopo qualche giro nella camera, per non insospettire i miei genitori, mi precipito al buco della serratura del bagno, e vedo la ragazza abbassarsi le mutandine e sedersi sul water per poi alzarsi e pulirsi, girandosi verso la porta permettendomi di vedere una massa nera di peli. Non saprò mai se Carmela sapeva che ero lì e si girava appositamente, ricordo solo che una volta uscita, andavo in bagno e sedendomi sul water ancora caldo del corpo di Carmela chiudevo gli occhi e davo sfogo alle mie fantasie sessuali, pensando a quello che avevo appena visto, ma il bello doveva ancora venire.
Mia madre non va più al Trocadero e le spogliarelliste vengono a casa a provare i nuovi costumi, sono fortunato, perché’ non vengono mai di mattina, quando sono a scuola, ma nel tardo pomeriggio, in quanto dormono fino a tardi.
Appena sento il campanello suonare, il mio cuore comincia a battermi forte e vado sempre io ad aprire la porta, mi trovo davanti donne bellissime e straniere, senza trucco e sempre sorridenti, le accompagno nel salotto e torno nella camera da pranzo, dove faccio i compiti, ma da quel momento comincio a studiare le mie successive mosse, devo arrivare al buco della serratura o appena si spogliano per indossare i costumi che mia madre ha preparato per loro o subito dopo la prova, prima che si rivestano, ma ci sono tantissimi ostacoli tra me e la visione di quelle veneri nude, innanzitutto il pericolo che mentre mi avvicino alla porta mia madre possa uscire per andare a prendere qualcosa dal laboratorio, poi le mie sorelle che muovendosi per la casa possono beccarmi attaccato alla porta a spiare.
La prima a muoversi è mia madre che entra nel salotto, portando in mano i costumi a cui sta’ lavorando, da quel momento i miei sensi si moltiplicano, sento ogni piccolo rumore, innanzitutto la porta del salotto che inesorabilmente si chiude, il rumore della macchina da cucire Singer, dove mia sorella Giulia, la più grande, sta’ lavorando, con la coda dell’occhio controllo mia sorella Lisa affaccendata in cucina, i secondi passano devo andare, mi muovo come un felino senza fare rumore, mi avvicino al buco della serratura, vedo quei corpi perfetti, il cuore mi batte all’impazzata per l’emozione e per la paura di essere beccato, se sono fortunato le becco quando sono completamente nude ma sono felice anche di vederle in lingerie ,mi sento il bambino più fortunato al mondo, sapere che tanti adulti pagano per vedere queste spogliarelliste che alla fine dello show ,restano con i capezzoli coperti da minuscole coppette ricoperte di strass che mia madre prepara per loro e mini slip, mentre io le vedo nude e senza pagare nulla! Intanto che le osservo, l’orecchio e rivolto verso l’altra parte della casa e ogni piccolo rumore mi fa scattare in piedi e mi allontana dalla porta.
Con il passare delle settimane, affino la mia tecnica, non sempre le ragazze sono in asse con il buco della serratura, molte volte si spostano per avvicinarsi allo specchio o si spogliano sedute sul divano dove il mio sguardo non può arrivare, ho bisogno di altri punti di osservazione, devo inventarmi qualcosa.
Mia nonna Maria, la madre di mia madre, abita ai quartieri Spagnoli, in via Emanuele de Deo, un vicolo che da via Roma arriva fino al Corso Vittorio Emanuele. Quel vicolo conosciuto anche con il nome di Tavernapenda è una strada che faccio tutti i giorni, perché’ sono quasi sempre io ad andare a comprare il latte rigorosamente fresco e della centrale, al Bar Caprez , le uova fresche dal pollaio, un omone grosso e burbero, conosciuto da tutti nel quartiere perché’ spesso fa la comparsa nelle sceneggiate in onda su Rai 1 o la carne dal macellaio senza mai dire quella frase che mia madre mi ripete sempre prima che esco di casa “ Digli di darti quella buona”, già’ all’epoca riesco a percepire che quell’uomo dietro al banco mi darà quello che vuole lui, indipendentemente da quello che gli dico. A casa continuo a mentire quando mia madre mi chiede “Gli hai detto di darti quella buona?”, “Certo” rispondo evitando di guardarla negli occhi.
Ogni domenica andiamo a pranzo dalla nonna, lì si riuniscono, le quattro sorelle di mia madre, zia Alba, zia Bianca, zia Sisina e zia Gina e il fratello, zio Ilario, più una miriade di cugini.
Una domenica decido che devo agire, ho comprato una limetta per le unghie ai grandi magazzini Standa ed ho bisogno di stare solo.
Con la scusa di dover terminare un tema assegnatomi dalla maestra, dico a mia madre che li raggiungerò dalla nonna, prima che si mettano a tavola insieme a mio fratello maggiore che intanto dorme ancora.
Mentre tutti si preparano fingo di scrivere il mio tema, appena li sento uscire, prendo la limetta e una volta accertatomi che mio fratello è ancora a letto, mi avvicino alla porta del salotto formata da due ante che chiudono perfettamente, è lì che devo lavorare, comincio a limare piano piano fino a formare una piccola fessura tra le due ante, ma una sola non mi basta, ho bisogno di una visione a 180°, dopo circa mezz’ora di lavoro ne ho preparate quattro ognuna con una angolazione diversa, da cui posso osservare tutta la stanza. Devo fare in fretta sono le 12 e 30 orario in cui generalmente mio fratello si sveglia.
Pulisco la segatura di legno caduta a terra, do un ultimo tocco con la carta vetro e chiusa la porta, guardo attraverso le piccole fessure per vedere il risultato del mio lavoro, ottimo! Adesso le ballerine potranno spogliarsi dove vogliono, con questo stratagemma riuscirò sempre a vederle. Mi sento un piccolo genio un nuovo Leonardo da Vinci.
Alle 14 sono seduto al piccolo tavolo riservano a noi bambini, a casa di mia nonna, in compagnia dei miei cugini, le mie sorelle sono sedute ad un altro tavolo con le nostre cuginette, gli adulti tutti al grosso tavolo al centro della camera da pranzo.
I figli di zia Gina, ci stanno raccontando di come in mattinata sono stati con il padre sulla spiaggia di Castel Volturno e hanno fatto rimbalzare i sassi nell’acqua mentre mio cugino Tony, figlio di zia Bianca ci racconta che il papà gli ha fatto guidare la 1100 Fiat, seduto sulle sue gambe. Io non li ascolto, la mia mente è presa dalla prova del nove che dovrò affrontare una volta tornato a casa.
Dalla porta d’ingresso, per andare in bagno e nelle rispettive camere da letto, dovremo passare tutti davanti alla porta del salotto, qualcuno si accorgerà di quello che ho fatto? È una notte di luna piena, qualcuno noterà la luce attraverso le fessure? Ma fantastico anche sul vantaggio del mio nuovo punto d’osservazione. Guardo i miei cugini e mi sento diverso da loro, io ho già visto tante donne nude e ancora ne vedrò, loro non sanno nemmeno cosa significa l’eccitazione, il calore, la stretta allo stomaco che quelle immagini ti danno, che pensino pure alle loro gite al mare o ai giri in auto, io ho ben altro a cui dedicarmi.
I pranzi domenicali da nonna Maria, durano un’eternità’ e per fortuna quando ritorniamo a casa è sera, tutti sono stanchi e andiamo subito a dormire. Nessuno nota le piccole fessure alla porta.
Nel mio letto a castello, con le pareti tappezzate di fotografie del mio complesso preferito, L’Equipe 84 e con mio fratello che dorme nel letto sotto di me, non riesco a prendere sonno, sono troppo eccitato dal fatto che adesso potrò vedere tutto quello che succede nel salotto.
Nei giorni successimi con mia immensa gioia, verifico che lo stratagemma funziona benissimo, ma ne invento un altro; nella piccola stanza che fa da anticamera al salotto, c’è un piccolo tavolino con su poggiato il telefono, la porta dei miei sogni è a meno di un metro, quindi fingendo di parlare al telefono e allungandomi con la cornetta in mano, riesco a spiare e se sento qualcuno avvicinarsi, con un passo sono davanti al mobiletto e continuo la mia finta conversazione con un ipotetico amico, fregandomene dei commenti di mia sorella Lisa , che ogni volta che mi vede lì mi ripete “Ma stai sempre al telefono?”
Comincio la prima media, siamo nel 1964 ho 12 anni e scopro le prime riviste per adulti. “Man”, “Le Ore” “Mascotte” e “77” sono quelle che prediligo, non le compro dal giornalaio, fresche di stampa, costerebbero troppo, ma in un negozietto a Piazza Montesanto che vende riviste usate. Non posso nemmeno immaginare lontanamente che molti anni dopo, i miei film saranno recensiti nello stesso tipo di riviste. La mia favorita è “77” perché a differenza delle altre riviste non ha in copertina sempre una bellona seminuda ma degli strepitosi primi piani di un bel paio di gambe femminili, fasciate da calze di nylon e tacchi a spillo.
Non posso lasciarle in giro per casa e le nascondo in una intercapedine sulla porta di ingresso. Le prendo solo per calmare i miei bollenti spiriti, li nascondo infilati nel pantalone dietro le spalle, coperte dalla mia maglietta. Chissà se negli anni successivi, lasciata quella casa, durante qualche lavoro di ristrutturazione, qualcuno le avrà ritrovate.
Quel tipo di riviste torneranno prepotentemente, in uno dei periodi più belli della mia vita.
Il servizio militare.
Sto crescendo, il mio solo interesse gira tutto intorno al sesso, non mi interesso di politica, né di sport, ancor meno delle faide di camorra che si consumano alle spalle del mio palazzo, ho le mie riviste erotiche, le mie belle straniere che ignare di un occhio che le spia si spogliano nel salotto, le lavoranti di mia madre che continuo a spiare quando vanno in bagno e le ragazzine che incontro andando a piedi a scuola.
Le medie le faccio alla scuola statale Pasquale Scura, situata nell’omonima strada, qui incontro Eduardo, un ragazzo che frequenta la mia stessa classe e abita a Via Portacarrese a Montecalvario, diventa il mio migliore amico e passo molto tempo con lui. Tra i vari passatempi che invento con Eduardo, una volta usciti dalla scuola e prima di tornare a casa, c’è quello di correre lungo Via Teatro Nuovo, dove un negozio di fotografia, espone all’esterno una sagoma a grandezza d’uomo che pubblicizza una macchina fotografica Kodak e buttarla per terra correndo e gridando come pazzi, puntualmente il fotografo esce e dopo averci riempito di cattive parole, alza la sagoma e la rimette apposto.
Lo facciamo per tutto l’anno scolastico, senza mai essere presi dal negoziante, che ormai rassegnato non aspetta altro che la chiusura della scuola. Ma non ci basta, a via Roma, a pochi passi da Piazza Carità, c’è Lionetti, un famoso negozio di giocattoli, anche quel negozio diventa vittima dei nostri giochi.
La vetrina dove sono esposti alcuni pupazzi, sporge sul marciapiede, lasciandoci lo spazio di infilare un piede sotto e calciare in modo da far cadere tutti i pupazzi e scappare via.
Mi diverto così, sono ancora troppo piccolo per avere una fidanzatina, poi le ragazze napoletane non mi sembrano così belle, come le straniere che vengono a casa mia, e non ultimo la timidezza di Eduardo, non mi aiuta a conquistarle.
In seconda media, a 13 anni, ne invento un’altra delle mie.
Per tornare a casa dalla scuola, passo sempre davanti ad un grande magazzino, La Rinascente, un enorme negozio di quattro piani, insieme ad Eduardo ci passiamo almeno mezz’ora al giorno, non siamo interessati allo shopping, non abbiamo una lira in tasca, ci interessano le scale e continuiamo ad andare su e giù, appena una ragazza con gonna, si appresta a salire. Ci piazziamo una rampa di scale sotto e cerchiamo di spiare sotto la gonna, ma non riusciamo a vedere quasi niente, ho bisogno di inventare qualcosa di nuovo, ed ecco che il piccolo genio viene fuori.
A casa ho alcuni libri, che non uso più, ne prendo uno di geometria e comincio a tagliare tutte le pagine al centro lasciando solo la copertina e gli ultimi fogli intatti, poi preso uno dei tanti specchietti delle mie sorelle, lo incollo nel quadrato che ho ritagliato, chiusa la copertina sembra un normalissimo libro. Non posso aspettare devo provarlo, chiamo il mio fedele Eduardo e gli do appuntamento alla Rinascente.
Una volta dentro, scegliamo la nostra vittima, una ragazza da sola, con una gonna non troppo lunga, una volta individuata la preda la seguiamo finche’ non prende la scala mobile, dobbiamo essere velocissimi, perché dobbiamo stare al massimo tre gradini più sotto, altrimenti non arriverò mai ad aprire il libro sotto la gonna. I primi esperimenti sono fallimentari, perché’ presi dall’entusiasmo facciamo casino e le ragazze si girano a guardare o perché’ dietro di noi ci sono delle persone, mi rendo conto che devo agire da solo e che devo mettere nel libro uno specchio più grande, ho appena dodici anni. La cosa non funziona come vorrei e dopo qualche mese metto via il libro con lo specchietto
Le medie passano in fretta e mi ritrovo a 14 anni con una gran voglia di conoscere il sesso vero.
Le clienti di mia madre, sono cambiate, non ci sono più le belle spogliarelliste straniere, ma normali ragazze e signore napoletane che si affidano ai miei genitori per i loro abiti da sposa e da cerimonia, perdo interesse per la mia postazione dietro la porta del salotto.
Anche le lavoranti non ci sono più, mia sorella Giulia è diventata bravissima e non c’è bisogno di altro aiuto.
Abbandono anche le riviste erotiche, e mi dedico a lunghe passeggiate su e giù per via Roma, in compagnia di Eduardo e di un nuovo amico, i cui genitori hanno una gioielleria nel mio palazzo, Mimmo. Insieme non lasciamo passare una sola ragazza senza cercare di conoscerla, usando le scuse più banali, senza però avere grande successo.
A 15 anni e i miei genitori mi iscrivono all’Istituto VI ITIS, con sede al Vomero, in Via Domenico Fontana. Qui conosco un altro ragazzo, si chiama Claudio, è del vomero, ha i genitori che lavorano alla Base Americana di Agnano ed è figlio unico.
E uno dei pochi ragazzi ad arrivare a scuola con un motorino, un “Corsarino” della Moto Morini, è più giovane di me di qualche anno e mi vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Diventiamo grandi amici e da quel momento divido il mio tempo libero tra lui ed Eduardo.
Sono gli anni dei primi innamoramenti, delle prime fidanzatine, dei primi baci.
Con Eduardo abbiamo formato una comitiva a cui si è unito Pino, un ragazzo che abita nel suo stesso palazzo.
Pino è alto, bello e sempre abbronzato, diventerà anche lui uno dei miei migliori amici, passa gran parte delle sue giornate steso al sole sulla sua piccola terrazza da cui si gode una vista panoramica su tutta Napoli, ha una sorella, Fortuna, di cui credo ci siamo tutti segretamente innamorati.
Quell’estate del 67, ne invento un’altra delle mie, come tutti gli anni, con la mia famiglia passo gran parte del mese di agosto al bagno “Elena” a via Posillipo, costruito sulle palafitte e con le cabine attaccate una accanto all’altra, mio padre ne ha prenotato una per i primi 15 giorni del mese.
La mattina cominciano i preparativi, le mie sorelle e mia madre sveglie da ore preparano il pranzo; in genere, polpette con la salsa, frittata di maccheroni, gâteau di patate. Mio padre prepara, ombrellone, borsa termica per l’acqua e termos per il caffè, all’epoca tutto si porta da casa. Io e mio fratello dormiamo fino a quando non sono tutti pronti, in pochi minuti infiliamo i costumi sotto il jeans e andiamo.
Sotto il mio palazzo, davanti al negozio Armenio, storico magazzino di abbigliamento, c’è la fermata dell’autobus che ci porta a Posillipo, a pochi metri dall’ingresso del bagno.
È sempre affollato, strapieno di gente che va al mare, a me piace molto fare quel tratto, mentre tutti si lamentano del caldo, della calca, dei posti riservati occupati da baldi giovanotti che non si alzano per far sedere persone più anziane, io osservo sotto le braccia delle ragazze attaccate al corrimano, quel ciuffo di peli neri e se sono fortunato e tanto vicino, sento anche l’odore di sudore che emanano e quella cosa mi fa venire una erezione spontanea, nei servizi igienici del bagno Elena, ripensando a quelle ascelle pelose, do sfogo alla mia eccitazione.
Dicevo che quella estate ne invento un’altra delle mie, infatti un pomeriggio dopo essermi abbuffato con pizzelle e panzarotti, mia madre mi proibisce di fare il bagno “Devi aspettare almeno tre ore prima di entrare in acqua” quindi rimango da solo davanti alla mia cabina, mentre il resto della mia famiglia fa il bagno tranquillamente. È il primo pomeriggio di una giornata caldissima e quasi tutti i bagnanti sono in acqua, all’improvviso vedo una coppia avvicinarsi, non sono giovanissimi, e infilarsi nella cabina a fianco alla mia. Mi tornano in mente le giornate passate dietro la porta del salotto a spiare le ballerine che venivano a casa a provarsi i costumi di scena. È un attimo, sono chiuso in cabina, per non far rumore trattengo addirittura il respiro, cerco un piccolo foro, una fessura tra le assi di legno che formano la cabina, ma niente, provo a stendermi per terra per capire se da sotto riesco a vedere qualcosa, niente, sento solo quei due ansimare, stanno facendo l’amore a meno di mezzo metro da me e non posso vedere nulla, non voglio farmi trovare dai miei chiuso in cabina, decido di lasciar perdere per quella volta ma ho già un piano ben preciso.
Il 15 di agosto passa e i miei genitori riprendono a lavorare, non sono più costretto ad andare al mare con loro, adesso posso organizzarmi con il mio fedele amico Eduardo.
In una ferramenta ho comprato un piccolo trivellino, un utensile che usano i falegnami per praticare piccoli fori nel legno e insieme ad Eduardo tutte le domeniche, vado al bagno Riva Fiorita a Posillipo, affitto una cabina e una volta dentro, pratico piccoli fori in diversi punti, da quel momento non usciamo più fino alla chiusura del bagno. Chiusi lì dentro al caldo aspettiamo che nelle due cabine situate di fianco alla nostra entri qualche bella ragazza o coppia per spogliarsi ignari di quegli occhi che li spiano.
Ricordo ancora i commenti di mia madre ogni volta che tornavo più bianco di quando ero partito “Ma non hai preso nemmeno un po’ di sole?”
Quell’estate passa, ho visto tantissime donne nude, ma ancora non ne ho toccata o baciata una.
È il periodo delle feste in casa, il salotto di casa, quello delle mie visioni erotiche è diventato il posto dove quasi tutte le domeniche ci ritroviamo dalle 18 alle 22 per i famosi “Balletti”, una cosa inconcepibile per i ragazzi di adesso che escono di casa dopo le 23 e passano l’intera notte in mega discoteche, bombardati da musica assordante e storditi da alcool e droghe.
Noi abbiamo solo un giradischi, nemmeno stereo e una ventina di 45 giri che facciamo suonare a rotazione, quello che va di più, perché’ ci permette per qualche minuto di stringere la ragazza di turno, è “Senza Luce” dei Dik Dik, cover di “A Whiter Shade of Pale” dei Procol Harum, ma vanno fortissimo anche “A chi” di Fausto Leali e “L’ora dell’amore” dei Camaleonti, altra cover dei Procol Harum.
Le mie sorelle sono fidanzate e non partecipano mai a questi balli in casa, preferiscono uscire con i rispettivi fidanzati, mio fratello Enzo, ha la passione della batteria e insieme ad altri tre amici ha formato un gruppo musicale, gli EPAP, e tutte le domeniche è in giro a suonare, quindi spetta a me ed al mio fedele Eduardo organizzare tutto.
Lui arriva sempre verso le quattro del pomeriggio, insieme spostiamo divano, poltrone e sedie vicino alle pareti così da rendere più spaziosa la “sala” da ballo. Su di un piccolo tavolo dove fa bella mostra di sé il mio giradischi Davoli Krundaal e la mia collezione di 45 giri, prepariamo il buffet, salatini, patatine, le immancabili noccioline e qualche bottiglia di Coca Cola e di Fanta.
Adesso non ci resta che aspettare i nostri amici.
Al Vomero ho conosciuto una ragazza, si chiama Lina, passa sempre davanti al mio istituto, capelli neri lunghi, tipo Romina Power, l’ho invitata, chissà se verrà.
Ad ogni squillo del campanello il mio cuore batte all’impazzata, ma Lina quella sera non viene, oggi basterebbe inviarle un WhatsApp per sapere dove è, ma di lei non conosco né il numero di telefono (chiaramente quello di casa) né dove abita.
La serata passa come tante altre, nonostante sia un po’ triste per Lina, non disdegno un gioco che facciamo sempre a turno, io, Eduardo e Pino. Dalla cucina prendo un Galbanino e me lo infilo nei pantaloni, poi invito a ballare la ragazza meno bella della serata e una volta al centro della stanza la stringo a me fingendo la più grande indifferenza, e la più grande erezione che sentirà nella sua vita, tocca a Pino e ad Eduardo, guardare l’espressione della ragazza, che puntualmente arrossisce e si piega indietro, puntandomi i gomiti sul petto per non farsi stringere.
Ogni domenica, ognuno di noi, prende una cotta per qualcuna, e balla per tutta la serata solo con lei, chiedendole se vuole stare con lui e se può darle un bacio, la risposta e sempre la stessa, “te lo dico domenica prossima”, per un semplice bacio bisogna aspettare una settimana, cosa impensabile per i ragazzi di oggi, che limonano tutta la notte in discoteca con la prima che trovano senza conoscere nemmeno il nome della ragazza.
Verso le dieci, tutti cominciano ad andar via.
È un momento tristissimo per me, una volta accompagnato alla porta l’ultima persona che va via, ritorno in quella stanza che fino a qualche minuto prima era piena di gente, di ragazze da stringere, di voci, di musica, mi guardo in giro, bottiglie mezze vuote, copertine dei dischi per terra, c’è un silenzio opprimente, mi sento molto solo, puntualmente spengo la luce e vado a dormire.
Ho quasi 17 anni siamo nel 1969 e ho una gran voglia di fare sesso, non mi bastano più le riviste, o i buchi delle cabine al mare. Al cinema arrivano le prime commedia sexy all’italiana e io non posso mancare a questo appuntamento, due titoli mi sono rimasti impressi nella memoria “Certo, certissimo anzi probabile” con Claudia Cardinale e Catherine Spaak e “La Bambolona” con Isabella Rei.
Al massimo si vede qualche reggicalze, sono ancora lontani i tempi dei primi film hard.
Quando ormai ho perso la speranza di rivedere Lina, la ragazza conosciuta al Vomero ecco che una domenica si presenta a casa mia con altre due amiche.
Sono diverse dalle ragazze che frequentiamo, sono della Napoli buona, vestono alla moda, sono truccate, immediatamente Eduardo e Pino si lanciano sulle amiche mentre io passo tutta la serata a ballare e parlare con Lina, quella sera non succede niente, ma mi invita a vederci in giorno successivo per una passeggiata al vomero.
Sono al settimo cielo, quel giorno a scuola non penso ad altro che Lina. Arrivato a casa, chiedo a mio fratello se posso indossare il suo pantalone a zampa di elefante e la camicia su misura che usa per le sue serate in giro per i locali. Come al solito, lo scaldabagno è spento, all’epoca si faceva di tutto per risparmiare corrente, compresa una sottile striscia tagliata da una pellicola radiografica che veniva inserita nel contatore della luce per rallentare la rotellina che faceva avanzare i numeri del consumo, ma non me ne frega, mi faccio una doccia fredda, mi vesto e alle 16,30 con mezz’ora di anticipo, scendo dall’autobus davanti alla rosticceria in piazza Arenella, luogo dell’incontro.
È il mio primo appuntamento da solo, mi sento strano e un po’ intimorito, non ho la mia spalla Eduardo e sono lontano dal mio quartiere, Lina è in ritardo, un’ansia mi assale e se non viene? Quanto devo aspettare ancora prima di andar via? Mentre mi faccio queste domande la vedo arrivare, fingo di non vederla e mi giro verso la vetrina piena di montanare, fruttatine di maccheroni e crocche’ di patate.
Sento la sua mano sulla mia spalla “Ciao, scusa il ritardo, sei qui da molto?” mentendo spudoratamente le dico “No, no, sono appena arrivato, c’era un po’ di traffico”
Passiamo tutto il pomeriggio passeggiando per il vomero alto, cosa impensabile per i ragazzi di oggi, tutti muniti di un mezzo di trasporto, parlando del più e del meno, mi piace molto, credo di aver preso una grossa cotta, ma il bello deve ancora arrivare. Durante i balletti ho baciato tante ragazze, ma sempre e solo con le labbra chiuse, ancora non ho dato un bacio vero, a questa mancanza ci pensa Lina, siamo a via Camaldoli, in una strada abbastanza solitaria, i nostri visi sono vicini, le metto le mani ai fianchi e la stringo a me, sto per poggiare la mia guancia sulla sua, quando lei comincia a baciarmi, sento la sua lingua intrufolarsi nella mia bocca, è una sensazione strana quasi sgradevole, ma mano a mano che continuiamo e stringendola sempre più vicino a me, comincio ad eccitarmi, ricambio il bacio con la mia lingua e sento un’erezione improvvisa, la mia mani cominciano a muoversi verso il suo seno, ma lei mi ferma “Dobbiamo andare è tardi”. Quella notte non chiudo occhio e ho la sensazione di sentire sempre la sua lingua muoversi nella mia bocca. I primi a saperlo il giorno dopo sono Eduardo e Pino, che continuano a chiedermi delle amiche di Lina, infatti gli avevo promesso che avrei chiesto a Lina un appuntamento per tutti e tre, ma me ne ero completamente dimenticato e mentendo li rassicuro, “Ci parla e mi fa sapere”.
Non siamo mai usciti tutti insieme, infatti la storia con Lina dura qualche settimana, non l’ho mai più rivista o sentita, ma la ricorderò sempre come la ragazza del primo bacio.
Ormai ho rotto il ghiaccio, non passa una domenica, senza che durante un balletto, non mi fidanzo con qualcuna, lo stesso fa Eduardo, ma le sue relazioni duravano di più, le mie solo un paio di settimane al massimo.
Una domenica siamo invitati a casa di una ragazza che abita nel palazzo di Motta, storico bar, non lontano da casa mia, io sono accompagnato dalla mia nuova fidanzatina che ho conosciuto la settimana prima La proprietaria della casa, credo si chiamasse Franca è una ragazza della Napoli bene, figlia di un dentista, la casa è bellissima con mobili di classe e grossi lampadari. Durante tutta la serata, non fa altro che guardarmi, anche Pino ed Eduardo se ne sono accorti, ma non posso avvicinarla perché’ la mia nuova fidanzata non mi lascia un secondo, chiedo aiuto ad Eduardo che la invita per un ballo mentre io mi avvicino a Franca, le chiedo dove è il bagno e per tutta risposta lei mi prende la mano e mi porta nella camera da letto dei genitori, senza dire una parola, mi fa sedere sul letto e comincia a baciarmi, ricordo ancora che davanti a me sul comodino c’è una grossa testa di un santo illuminato, tipo museo delle cere di Madame Tussauds, ma non mi lascio intimidire e rispondo al bacio. Dal salotto mi arrivano le note della canzone che stanno suonando “La Bambola” di Patty Pravo, ancora adesso dopo tanti anni ogni volta che ascolto questa canzone ripenso a quel momento e rivedo quella grossa testa di santo.
Sento che posso osare, d’altronde è stata lei a portarmi in quella camera, mentre la bacio le infilo una mano sotto la gonna, contrariamente a quello che era successo fino a quel momento, Franca non ferma la mia mano, anzi, la prende e la spinge più su, per la prima volta sento e tocco le mutandine bagnate di una ragazza, sento i peli del pube e poi entro con le dita dentro, con l’altra mano prendo la sua e la spingo verso la patta del mio pantalone, ma lei si alza di botto, si sistema la gonna e mi dice “ Il bagno è nel corridoio a sinistra” e mi lascia da solo con la testa del santo illuminata che sembra fissarmi. Per il resto della serata non mi cacherà di una sguardo.
Ma è un bel passo avanti e come sempre i primi a saperlo sono Eduardo e Pino.
La settimana dopo, faccio un altro passo avanti. Sono stato invitato ad un balletto a casa di una ragazza, che abita in via Egiziaca a Pizzofalcone, in un antico palazzo del settecento.
Non ricordo perché’ ma non vuole Eduardo alla sua festa, a me dispiace lasciarlo a casa e gli dico di accompagnarmi, promettendogli che resterò solo qualche ora e poi andremo in giro per via Roma insieme. Promessa che non manterrò, infatti conosco due ragazze, una si chiama Adele, capelli corti neri, tipo la brunetta dei Ricchi e Poveri e Lina, stesso nome della mia prima vera fidanzatina, ma completamente diversa, capelli biondi, occhi azzurri, ma molto grassa.
Di Adele mi innamoro subito, un amore mai corrisposto, che mi farà passare notti insonni pensando a lei. A Lina invece piaccio moltissimo e me lo fa capire, ballando con me tutti i lenti e spingendo in suo pube contro il mio uccello che non risponde ai suoi richiami.
Passo cosi mezza serata guardando tutto quello che fa Adele e spiando ogni sua mossa, specialmente quando balla con qualcuno che la stringe a se e Lina che non mi molla un attimo.
Quella sera abbandono il mio fedele amico, senza però aver dimenticato, di lanciargli dal secondo piano, una busta piena di pasticcini e salatini.
Come dicevo, dopo la mani nelle mutandine di Franca, faccio un altro passo avanti. Adele è andata via, decido di lasciare anche io la festa, ma Lina mi dice che viene via anche lei e che vuole mostrami un posto che si trova proprio lì vicino, davanti alla Nunziatella, scuola militare fondata il 18 novembre 1787 come Reale Accademia Militare.
Spero che Eduardo sia ancora lì, ma il mio amico ricevuto i pasticcini ha deciso bene di tornarsene a casa. Devo seguire Lina, anche se il mio pensiero è rivolto ad Adele e ho voglia di tornarmene a casa, ma non me ne pentirò, anzi.
Lina si mette sotto il mio braccio e insieme ci incamminiamo verso la fine di via Pizzofalcone, ad un tratto mi trovo sotto uno spuntone roccioso, interamente in tufo, sono quasi le 21 tutt’intorno è scuro, e noto tantissime coppiette abbracciate arrampicate sulla roccia in cerca di intimità, Sono le famose “Muntagnelle” nome dato dai Napoletani al monte Echia, che si affaccia sul borgo di Santa Lucia. In quel posto ci tornerò tante altre volte nel corso della mia vita. Ma torniamo a Lina, sicuramente ci sarà stata altre volte, perché’ mi porta dietro uno spuntone di roccia, lontano da sguardi indiscreti. Li non parliamo più, dimentico Adele e mi lancio su quel corpo fatto di forme abbondanti e morbide. Fa tutto lei, mi slaccia i pantaloni e comincia a toccarmi, la mia erezione avviene in meno di 10 secondi, anche io infilata la mano sotto le gonna le abbasso le mutandine e comincio a toccarla, per me è già il massimo, è la prima volta che una donna mi masturba, ma non finisce lì, vuole sentirlo in mezzo alle gambe, forse è vergine, forse non se la sente di avere un rapporto completo, mi chiede però di inginocchiarmi, ha troppa paura di rimanere incinta e cosi mi ritrovo con le ginocchia per terra a scoparmi un paio di polpacci, ma l’eccitazione del momento e poi il fatto di avere la faccia vicino al suo sesso, mi fa dimenticare il dolore alle ginocchia, per fortuna le altre ragazze che incontrerò non mi chiederanno mai più questa strana posizione,a parte una signora durante il mio servizio militare, e mi lasceranno farlo in piedi e molto più vicino al mio oggetto del desiderio, ma senza mai lasciarsi penetrare. Questa tecnica chiamata in napoletano “cosciata” mi accompagnerà per molti anni. Il 69 sta’ finendo, e quell’anno il veglione di Capodanno, lo facciamo a casa di tre sorelle che abitano al rione Luzzatti. Come sempre siamo io, Eduardo e Pino, ma abbiamo un grosso problema, tutti e tre abitiamo tra via Roma e i Quartieri Spagnoli, arrivare a piedi dopo la mezzanotte a casa delle ragazze è impossibile, abbiamo bisogno di qualcuno che ci accompagni in macchina, ma anche questo è un problema, perché’ in quegli anni, allo scoccare della mezzanotte, dai balconi di Napoli, si lancia nella strada di tutto. Chi non ha vissuto in quegli anni a Napoli non può capire o immaginare. Lavatrici, bidè, lavandini, frigoriferi, piatti, materassi, bottiglie e una infinità di altri oggetti, al sorgere del nuovo anno vengono scaraventati in strada, dai balconi e finestre di tutta la città più migliaia di fuochi di artifizio e molto spesso anche colpi provenienti da armi da fuoco. Ricordo che una volta sui quartieri, furono esplosi colpi di mortaio. Tutti avevano paura di bucare le ruote della macchine, ma la voglia di andare in strada a festeggiare il nuovo anno era troppo grande. Convinco un ragazzo che vive nel mio palazzo, Domenico, ad accompagnarci e partecipare alla festa di Capodanno, come fanno in molti, ci procuriamo delle scope che leghiamo sul paraurti della sua automobile, davanti alle ruote in modo che fanno da apri strada, spostando tutto quello che può forare il pneumatico. Il traffico è incredibile, auto dei pompieri che corrono a spegnere qualche incendio, camion della nettezza urbana che cominciano a pulire le strade e centinaia di auto che procedono a passo d’uomo strombazzando con il clacson per tutto il tempo. Fortunatamente arriviamo sani e salvi, senza aver bucato all’indirizzo dove si tiene la festa. All’epoca il rione Luttazzi era uguale a quello ricostruito nel 2018 per la fiction Rai, “L’amica Geniale”
Sono stato invitato da un mio amico di classe, Giuseppe che viene a prenderci all’ingresso del rione. Pochi minuti dopo siamo presentati alle padrone di casa, tre sorelle, di cui ricordo solo il nome della più grande, Nadia.
Siamo i più carini e i meglio vestiti, quindi non passa molto tempo che le tre sorelle si attaccano a noi per tutta la durata del veglione, anche Domenico rimorchia una ragazza di Fuorigrotta che è lì con il fratello.
Nadia mi fa capire che le piaccio molto, che è stanca dei soliti ragazzi del quartiere, cafoni ed arroganti, che io sono diverso, gentile, educato, d’altronde io vengo dal centro di Napoli, sono un napoletano doc. Passiamo tutta la serata a ballare lenti e a baciarci, ricordo ancora adesso che lei aveva tutto il mento arrossato, dovuto alla mia barba che cominciava a spuntare.
Nadia era più grande di me, aveva quasi 20 anni, ed io pensai, forse non è vergine, forse stanotte riesco a fare sesso vero, poi c’era un detto che diceva “se fai all’amore il primo di gennaio lo fai per tutto l’anno”
Non fu cosi, feci però un altro passo avanti nella scoperta del sesso.
Alle sette del mattino, tutti cominciarono ad andare via, Nadia mi chiese di restare, dicendo che mi avrebbe accompagnata lei, salutai i miei fedeli amici e mi ritrovai nel salotto solo con lei. Le sorelle andarono a letto, non ho mai capito se i genitori erano in casa o se le tre ragazze vivessero da sole.
Sul divano continuammo a baciarci, eravamo stesi l’uno accanto all’altra, lei aveva un vestitino nero molto leggero, sentivo tutte le sue forme, cominciai a toccarla dappertutto, aveva dei grossi seni e per la prima volta cominciai a baciarli e toccarli, in verità palpare o succhiare un capezzolo, non mi mai eccitato più di tanto, sarà che durante la mia infanzia ne ho visti moltissimi e di tutte le misure. Ma Nadia aveva in serbo qualcosa di molto più eccitante, si alzò dal divano, si inginocchiò, mi sbottonò i pantaloni e cominciò a praticarmi sesso orale, era la priva volta, una sensazione bellissima, ero in estasi, avevo gli occhi chiusi e quasi non mi accorsi che si era alzato il vestito, sfilato le mutandine e salita sul divano mi offriva il suo sesso nella classica posizione del 69. Non l’avevo mai vista così da vicino, ma non era uguale a quelle delle ballerine che vedevo dal buco della serratura, loro avevano solo un ciuffetto di peli nella parte alta, quella di Nadia era invece completamente ricoperta di peli.
Ammetto che all’inizio mi faceva un po’ senso, infilarci la lingua dentro, anche perché dopo una nottata a ballare, si sentiva un odore sgradevole, un misto di sudore e umori vaginali. Mi feci coraggio a cominciai a baciarla, dopo un po’ la cosa divenne piacevole e raggiunsi per la prima volta l’orgasmo nella bocca di una donna. Pochi secondi dopo, però, avevo voglia di alzarmi ed andar via a raccontare tutto ai miei amici, ma rimasi ancora un po’ abbracciato a Nadia, che divenne la mia fidanzata, per tre mesi, senza però mai concedersi completamente. Avevo provato tante cose, ma mi mancava il sesso vero, avevo voglia di un rapporto completo.
Siamo nel 1970, tra qualche mese compirò 18 anni e il destino mi dà una mano ad avverare il mio sogno, il mio amico Claudio è ammalato e non viene a scuola, è lui che a bordo del suo Moto Morini, mi accompagna tutti i giorni a casa, per una settimana sono costretto a tornare a piedi, cosa non faticosa, la strada che va dal vomero a via Roma è quasi tutta in discesa.
Un tratto di strada comprende il Corso Vittorio Emanuele, è qui che incontro Isabella. Sono fortunato, l’orario in cui passo da lì corrisponde all’uscita delle ragazze dall’ Istituto Tecnico Femminile, da qualche settimana ho adocchiato una ragazza, bassina, un po’ in carne ma con una caratteristica eccitante, indossa sempre delle calze con riga posteriore, non le ho mai viste prima, se non nelle mie riviste erotiche, questa cosa mi eccita molto devo assolutamente conoscerla, la seguo per un paio di giorni senza avere il coraggio di parlarle, ma poi mi decido.
Con una scusa banale, mi avvicino, a prima vista sembra più grande di me, è molto simpatica ed aperta, mi dice che mi ha già notato un paio di volte, le spiego che sono passato di lì la prima volta per caso ma che da quando l’ho vista ci passo apposta, la mia sincerità le piace e cominciamo a vederci tutti i giorni, oggi si direbbe a frequentarci.
Spesse volte ci fermiamo sulle scale di Montesanto che dal corso Vittorio Emanuele, portano a via Pignasecca, a baciarci e a toccarci, ci sono tante altre coppiette e tanti guardoni nascosti, ma sono innocui, oggi avrei paura ad andarci.
È qui che Isabella mi chiede se ho un posto mio dove possiamo andare, mi coglie alla sprovvista, ho quasi 18 anni, non mi va di dire che vivo con i miei o che non ho i soldi per permettermi una camera d’albergo, ma vado al contrattacco e le dico di sì, non posso perdere la mia prima occasione di fare all’amore con una ragazza, non so come, ma mi organizzerò. Ho bisogno di tempo per organizzarmi e le do appuntamento per la settimana successiva.
I miei fedeli amici, Eduardo e Pino non possono aiutarmi, vivono con i loro genitori, mi viene in mente che uno dei cugini di Claudio, che ha un negozio alla Sanità, anche se sposato racconta sempre di avventure con giovani signore, forse ha una garçonnière dove le porta?
Si, ce l’ha! E situato in una traversa di via Antignano al Vomero
Con l’aiuto di Claudio riesco ad avere le chiavi e l’appartamento e tutto mio per mezza giornata. Organizzo l’incontro con Isabella e finalmente ci vado.
È una sensazione bellissima avere un posto tutto tuo, lontano dagli occhi discreti dei passanti e da quelli indiscreti dei guardoni.
Una cosa che mi è rimasta impressa di quella prima volta è una minuscola mutandina viola con una piuma sul davanti.
Non posso crederci sono nudo a letto con una donna, comincio a baciarla ovunque e cosi fa lei, la penetro, è bellissimo, sento un calore invadermi tutto il corpo, a stento trattengo l’orgasmo, la bacio mentre mi muovo lentamente dentro di lei, tutto va bene, poi comincio a muovermi più velocemente e qui tutto cambia, ad ogni colpo lei comincia a gridare “sì…si…sì, sì. sì, sì, sì sì sì sì sì sì” più io mi muovo e più lei alza la voce, una voce penetrante e stridula che mi entra nel cervello, rallento e lei smette di gridare, poi come riprendo a muovermi dentro di lei, Isabella comincia a gridare quel suo “sì, sì sì sì sì sì sì sì sì” non una parola diversa, non una frase volgare, solo quel sì con una voce squillante. Termino la mia pessima prestazione sessuale ed in fretta riporto Isabella a casa e le chiavi a Claudio, non l’ho più rivista né tanto meno cercata. Ogni tanto sia lei sia Lina sia Nadia mi tornano in mente, pagherei per sapere che fine hanno fatto, cosi come tante altre donne che hanno attraversato la mia vita e sparite nel nulla.
Non vado più all’istituto ITIS, ci hanno trasferiti all’istituto Alessandro Volta al corso Malta.
Ogni mattina insieme ad Eduardo prendiamo l’autobus per andare a scuola alla fermata di via Diaz, vicino allo, storico grande magazzino Standa adesso sostituito da un brand di abbigliamento economico.
Quello che può sembrare un noioso tragitto, in un bus affollato, ogni martedì di trasforma in un viaggio da sogno, infatti a Piazza Borsa sale sempre una bella signora, che scende a Piazza Garibaldi. Non è giovanissima, avrà circa 40 anni , molto prosperosa ed indossa sempre calze a rete, appena sale sul pullman, io Eduardo e altri tre ragazzi che frequentano il nostro istituto, la circondiamo e lentamente ci avviciniamo sempre di più, complice l’autobus affollato, per tutto il tratto ci strusciamo addosso alla signora, che finge indifferenza, abbiamo gli ormoni alle stelle, ad ogni frenata ci stringiamo di più a lei per poi aprire un varco per farla scendere alla sua fermata, questa cosa dura per quasi tutto il quarto anno scolastico, dopo l’anno non l’abbiamo vista più.
Gli anni passano in fretta, mi sono diplomato con un buon punteggio e mi ritrovo a frequentare il 75°corso AUC, allievo ufficiale di complemento a Cesano, una raccomandazione di mio zio Salvatore, che lavora al ministero della difesa mi ha spianato la strada per questo corso.
Ricordo ancora che ad accompagnarmi alla caserma, fu il mio amico Claudio che dalla Moto Morino era passato alla Citroen DS, la famosa Pallas.
Lo salutai tristamente e cominciai la mia avventura militare. Quando si parte per il servizio militare, si è sempre di malumore,
“Ma che ci vado a fare”, “Perché’ devo perdere un anno della mia vita?”, “Non c’è mica la guerra”, ma quando poi si ritorna a casa, ti accorgi con nostalgia di aver passato una dei migliori periodi della tua vita.
Vi ricordate di quando vi parlavo delle prime riviste sexy che nascondevo a casa? I tempi sono cambiati adesso ci sono riviste porno e dopo qualche mese in caserma, ne penso un’altra delle mie; comincio ad acquistarne una al giorno e dopo un mese inizio a noleggiarle ai miei commilitoni, chiedo 100 lire a rivista e dopo una breve pausa al bagno me la riportano, avevo inventato il primo sexy shop. Ricordo che anche il colonello ogni tanto mi chiedeva di lasciarne qualcuna nella sua auto, naturalmente non mi facevo pagare, ma facevo sempre meno turni di guardia. Fu un periodo bellissimo, descritto egregiamente dai Pooh nella loro canzone Classe 58, comprese le donne tra i fuochi di gomme di Tor di Quinto che puntualmente la sera andavamo a trovare prima di rientrare in caserma.
Uno dei momenti più belli del servizio militare è la libera uscita e la possibilità di mangiare in uno delle tante trattorie frequentata dai militari. Me ne ricordo una in particolare, dove ogni sera venivo accolto dal figlio della proprietaria, un ragazzo down, che mi accoglieva sempre con il saluto militare e la sua frase preferita “O maggior, o maggior”. Rimpiango ancora quelle mangiate megagalattiche con montagne di carbonara e grigliate di carne, senza avere il minimo disturbo intestinale, cosa impossibile adesso!
Il corso dura 6 mesi….
Passo il corso AUC e mi ritrovo ufficiale con il grado di Sottotenente.
Vengo assegnato alla caserma Pica a Santa Maria Capua Vetere.
Qui inizia un altro dei periodi più belli della mia vita.
Tra i vantaggi di essere un ufficiale, ci sono quelli di avere una camera tutta tua e non mangiare più alla mensa, ma al circolo ufficiale.
Quando prendo possesso della mia camera, ci trovo il sottotenente Furlan, un ragazzone veneto che ha finito il suo servizio militare e sta portando via le sue ultime cose. E’ il mio primo giorno, nella nuova caserma, mi sento un po’ spaesato e anche un po’ spaventato da come verrò accolto dai soldati semplici che dovrò comandare. Furlan mi rassicura, mi consiglia di non essere troppo severo e di non approfittare del mio grado di sottotenente.
Il destino ancora una volta mi è stato amico a farmi assegnare quella camera, il perché me lo spiega sempre Furlan.
“Qui di fronte abita una signora, se gli sei simpatico sicuramente ti inviterà a casa sua. Lo ha fatto con me e con l’ufficiale che era qui prima di me” Mi saluta con una pacca sulla spalla e va via. Sono solo, mi è stato detto che il ristorante del circolo ufficiale apre alle 12, ho una fame da lupo, sono sveglio dalle 6, ma prima di andarci, mi avvicino alla finestra alla ricerca della fantomatica signora, in effetti davanti a me c’è un palazzo di quattro piani e i balconi del secondo piano sono proprio di fronte alla mia finestra, le vetrate sono chiuse e non si vede nessuno all’interno. Richiudo la finestra e vado a mangiare.
All’interno del ristorante, l’ambiente è completamente diverso da quello delle trattorie vicino alla scuola AUC, nessuno grida, non c’è un televisore acceso, ad accogliermi non c’è il mio amico con la sua frase “o maggior, o maggior” ma un cameriere con guanti bianchi che mi fa accomodare ad un tavolo al centro della sala.
Sono imbarazzato, mi guardo intorno, ci sono tutti ufficiali di grado superiore, c’è anche il colonnello G., comandante della caserma, nessuno parla, si sente solo il rumore delle forchette nei piatti.
Arriva il primo, credo fosse, pasta al pomodoro, una porzione che non era nemmeno un quarto di quello che ero abituato a mangiare,
dopo appena poche forchettate il cameriere ritorna e senza dire nulla mi sfila il piatto da sotto gli occhi e si allontana. Sono sorpreso, il piatto era ancora pieno, mi guardo in giro, nessuno sembra aver notato nulla e io mi riguardo bene di dire qualcosa, sono a disagio.
Arriva il secondo, sicuramente sarà stata carne, non faccio nemmeno il tempo a tagliare il secondo pezzo, che il cameriere rifa’ la stessa cosa e si porta via il piatto con la bistecca e il contorno che non avevo nemmeno assaggiato, sono pietrificato, non so cosa fare, voglio solo andare via, all’improvviso la sala si rianima, sento tutti che cominciano a ridere e a guardare verso di me, il colonnello si alza e si avvicina al mio tavolo “Benvenuto sottotenente Occhiobuono, questo è il nostro modo di accogliere i nuovi ufficiali” Mi sento rinascere, sono sollevato da quella situazione imbarazzante, Il cameriere che mi ha servito o per dirla meglio non mi ha servito, è un ufficiale come me e mi dice che un giorno toccherò anche a me vestire i panni del cameriere. Tutti ritornano ai tavoli e mi dicono che adesso posso mangiare in pace, cosa che faccio apprezzando molto quella sala che pochi minuti prima odiavo e che mi ero ripromesso di non frequentare più. Comincia così la mia nuova avventura di sottotenente dell’Esercito Italiano. Le giornate passano tra esercitazioni e giocate a poker al circolo ufficiale. Ed è durante una di queste partite che subisco i mie primi arresti domiciliari.
Con i soldati ho instaurato un buon rapporto, se eseguano tutti gli ordini alla lettera, li mando con un permesso di 24 ore a casa.
Ho promesso a due napoletani, che se puliranno le latrine entro mezzogiorno, potranno andare a casa il prossimo weekend. Il mio compito sarebbe quello di controllare continuamente il loro lavoro, invece li ho chiusi a chiave e sono andato a rilassarmi al circolo ufficiali.
E’ qui che l’altoparlante della caserma chiama il mio nome “…il sottotenente Occhiobuono è atteso urgentemente davanti ai bagni”
Immediatamente mi precipito fuori e arrivato al posto indicatomi, ci trovo il comandante della caserma e il mio capitano.
<< Sottotenente Occhiobuono, comandi >>
<< O lei è un nazista >> a parlare è il colonnello << o un pazzo a chiudere dei ragazzi a chiave nelle latrine, l’acido muriatico usato per pulire per poco non li faceva svenire, essendo tutto chiuso, per fortuna il capitano li ha sentiti battere sulla porta e chiedere aiuto >>
Presi tre giorni di arresti, in effetti, facevo il mio lavoro fino all’orario di libera uscita poi dovevo tornare in camera e non uscire fino al mattino successivo.
Fu nell’ultimo giorno dei miei arresti che finalmente vidi la fantomatica signora di cui mi aveva parlato Furlan.
Era mattino presto, mi stavo facendo la barba, vicino alla finestra, quando le ante del balcone di fronte si aprirono, una signora sui 4° anni si affacciò, io la salutai cortesemente e lei senza preamboli cominciò a parlarmi.
<< Mio marito è lontano, lavora alla fiat di Torino >>
Riuscii a dire solo che era un lavoro interessante che lei riprese
<< Se qualche sera le fa piacere può passare a trovarmi >>
Accettai immediatamente quell’invito << Va bene, quando? >>
<< Anche stasera >>
Mi spiegò quale citofono bussare, il piano e l’interno.
Mi disse che avrebbe lasciato la porta dell’appartamento aperta, e che non dovevo bussare, ma entrare ed andare a sinistra nel salotto.
Passai tutto il giorno, pensando alla signora, ci furono dei momenti in cui pensai di non andarci, avevo po’ di paura; e se fosse tornato il marito proprio quella sera?
Le ora passarono e si avvicinava l’ora dell’appuntamento, la voglia di stare con una donna superò la paura di incontrare il marito e andai.
Non ero mai stato alle spalle della caserma, era un vicolo stretto e buoi, il portone era di vetro, riuscivo a vedere l’interno, c’era un silenzio spettrale, bussai il citofono, nessuno rispose sentii solo il clic della porta che si apriva, l’interno era ancora più silenzioso, per non far rumore salii a piedi i tre piani e mi ritrovai davanti alla porta dell’appartamento.
Spinsi lentamente ed entrai, l’ingresso era buoi ma a sinistra intravedevo una luce, il cuore mi batteva all’impazzata, chiusi lentamente la porta dietro di me e mi avviai nel salotto.
Sul di un tavolo vidi una abatjour coperta con panno che ne attenuava la luce, c’era un grosso divano marrone sicuramente in similpelle e due poltrone. Non sapevo cosa fare, provai a sedermi ma il divano scricchiolava e decisi di rimanere in piedi, il tutto sarà durato pochi secondi ma in quel momento sembravano ore.
La signora entro nel salotto, indossava una lunga vestaglia e aveva un fazzoletto che le copriva la bocca, non ho mai capito a cosa servisse, senza dire una parola si tolse la vestaglia, era completamente nuda, mi abbracciò e cominciò a sussurrarmi
<< Mio marito è lontano, lontano… >>
Pretese che mi infilassi due preservativi e ci stendemmo sul divano, cominciammo a fare all’amore ma era un continuo ”stop and go” nel senso che ogni mezzo minuto dovevo fermarmi e poi riprendere in quanto lei mi diceva continuamente e per tutta la durata del rapporto << Mio marito è lontano, lontano…fammi godere, fammi godere >> << Vattene via vattene via >> io mi fermavo ma lei subito riprendeva << Fammi godere, fammi godere…mio marito è lontano >>
Prima che raggiungessi l’orgasmo, mi fece mettere in ginocchio, lei si spostò dal divano e io dovetti fare da solo. In quel momento passata l’eccitazione, mi resi conto di dove ero, in casa di una sconosciuta, nudo in ginocchio, con il mio uccello in mano, e una grande voglia di tornare dai miei amici in caserma.
L’uscita da quella casa fu più inquietante dell’ingresso, infatti noi uomini pur di raggiungere il nostro scopo, superiamo tutti gli ostacoli, ma una volta raggiunto lo scopo vorremmo sparire da quel posto. E se avessi incontrato il marito fuori dalla porta? O giù nell’ingresso? Non successe nulla e quella notte tra veglia e sonno sentivo continuamente rimbombarmi nella mente le parole della signora << Vattene via vattene via mio marito è lontano…fammi godere, fammi godere… >>
Decisi che non ci sarei andato più e per giorni evitai di affacciarmi alla finestra, ma la voglia di sesso a 20 anni è continua cosi ci ritornai e ritornai ancora. Lei si chiamava Gaetana, io le diedi un altro cognome, non volevo che sapesse il mio vero nome, quindi mi chiamava in caserma e il centralino mi rintracciava.
Le mie uscite notturne non passarono indifferenti e una sera prima di lasciare la mia stanza bussò alla porta un collega, il sottotenente Gargiulo, era un ragazzone abbastanza robusto, con delle guance rosse e un grosso naso, diciamo che la natura non era stata molto generosa con lui, ma era molto simpatico e gli volevo bene, poi era campano, si Sessa Aurunca.
Senza mezzi termini sapeva della signora e mi chiese se poteva restare nella mia stanza per cercare di vederla nuda quando facevamo all’amore, ripensai a tutte le volte che ero stato dietro la porta del salotto a spiare le clienti di mia madre e gli dissi si immediatamente. Studiammo la posizione migliore dove dovevo mettermi per far sì che vedesse meglio all’interno del salotto dove da lì a poco avrei incontrato la signora.
Quella sera, avendo ormai confidenza con Gaetana, le dissi che avrei voluto farlo sulla poltrona e senza che se ne accorgesse apri leggermente le tende dal balcone per permettere a Gargiulo di poterci vedere. Mi sembrava di essere in un film porno, facevo sesso non per me, ormai quella situazione stava diventato un abitudine, ma per il mio amico, la giravo a favore della finestra della mia camera e quella sera per la prima volta riuscii a farla masturbare da sola a favore del sottotenente Gargiulo.
La voglia di quelle scopate serali mi stava passando, anche perché’ avevo conosciuto una ragazza di Trani, Teresa, durante una esercitazione in Puglia e me ne stavo innamorando.
La goccia che fece traboccare il vaso fu quando una domenica sera eravamo stesi per terra nel salotto mentre mi ripeteva le stesse frasi “mio marito è lontano…fammi godere…” sentii la porta di ingresso aprirsi, saltai come una molla, credendo che fosse arrivato il marito, ma lei senza scomporsi mi disse
” Non ti preoccupare è mio fratello” e io le chiesi in preda al panico “E se entra qui?” lei mi rispose con tutta la tranquillità di questo mondo “Digli che sei venuto a chiedermi una cosa”, chiedere una cosa?!! Eravamo nudi per terra!! Capii che qualcosa non andava, e che non sarei dovuto più ritornare in quella casa.
Pochi giorni dopo, scoprii che in quell’appartamento oltre a lei, vivevano i suoi due figli, il padre e il fratello che adescava i soldati per strada essendo omosessuale. Se ancora ci penso, mi vengono i brividi, mentre facevamo l’amore nel salotto, nelle stanze a fianco dormiva tutta la sua famiglia. Dimenticai Gaetana e decisi di non affacciarmi più a quella finestra, con grande delusione del mio amico Gargiulo.
Mancavano due mesi al congedo, quando finii ancora una volta ai domiciliari. Ero con un camion militare a Napoli centro, quando vicino al Museo Archeologico, vidi tre ragazze che facevano l’autostop, non resistetti, chiesi all’autista di accostare e feci salire le ragazze sul retro del camion, oggi finirei alla corte marziale, ma all’epoca era tutta un’altra cosa, le cose sarebbero andate bene se a Via Roma, non avessi incrociato una macchina dei vigili urbani, il destino volle che uno dei vigili era mio zio Giuseppe, per farmi bello, feci fermare il camion , scesi e per farmi bello portai mio zio sul retro del camion, spostai il telo e gli feci vedere le tre ragazze sedute sulle casse che stavo trasportando, la sfortuna volle che un ufficiale di stanza al Circolo Ufficiale di Piazza Plebiscito passasse proprio in quel momento, era in macchina ma vide le mie mostrine e capì a quale caserma appartenevo. La sera stessa appena rientrato fui messo agli arresti. Quando vi dicevo che a quei tempi era tutta un’altra cosa, mi riferivo al fatto, che non c’erano terroristi, non c’era pericolo di un attacco ad una caserma, insomma vivevamo in un periodo tranquillo, infatti quando facevo l’ufficiale di picchetto, cioè quello che controlla l’ingesso principale, oltre alla fascia azzurra, dovevo indossare anche la pistola, ma poiché’ aravamo in tempi di pace, nella fondina portavo una sagoma di legno, mentre la vera pistola era chiusa in cassaforte. Una sera però il comandante della caserma, mi chiese in modo categorico di indossare la pistola vera e di restare davanti al portone, poi mi disse che quella notte stessa sarebbero arrivate delle auto con alti ufficiali a bordo e che li avrei dovuto fare entrare senza chiedere alcuna spiegazione. Restai tutta la notte sveglio, cosa che normalmente non facevo, poiché assegnavo i miei compiti al sergente di servizio, ma non arrivò nessuno. Pensai che forse quella notte si sarebbe dovuto ripetere quello che stava accadendo qualche anno prima e cioè il tentato golpe Borghese, un tentativo di colpo di stato organizzato da Julio Valerio Borghese fondatore del Fronte Nazionale che prevedeva tra l’altro, l’assassinio del capo della polizia Angelo Vicari e il rapimento dell’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Quella notte non successe nulla e non saprò mai cosa sarebbe potuto succedere.
Ripresi le mie abitudini, pistola di legno, partite di poker al circolo ed esercitazioni con il mio battaglione. Mancava poco più di un mese al mio congedo e passai gli ultimi giorni di nuovo agli arresti domiciliari.
Eravamo partiti per tre giorni di esercitazioni in Puglia, la colonna militare era formata da una jeep davanti con a bordo il Colonnello e due Capitani, c’erano poi 5 camion e alla fine c’ero io con la jeep e l’autista, comunicavo con la testa della colonna tramite radio riceventi. Eravamo partiti da Santa Maria Capua Vetere alle 6 del mattino e verso le 10 eravamo in prossimità di Trani, avevo promesso a Teresa di andare a salutarla e avevamo un mezzo appuntamento alle 11 davanti alla cattedrale. Ordinai al mio autista di deviare per Trani “…ma signor tenente, se ci chiama il colonnello?” “Non ti preoccupare, ci penso io”.
Arrivai davanti alla cattedrale, Teresa era seduta sugli scalini e mi aspettava, passammo 15 minuti insieme, promettendoci che ci saremmo rivisti a Napoli una volta finito il mio servizio militare e che saremmo stati insieme, ma quella fu’ l’ultima volta che la vidi. Tornato in autostrada, dissi all’autista di accelerare e raggiungere la coda della colonna, inutile dire che il colonnello mi aveva chiamato tantissime volte e temendo un incidente aveva allertato la polizia Stradale che confermò che quella jeep non era sull’autostrada. Le mie giustificazione non servirono e una volta rientrati dall’esercitazione fui messo agli arresti per una settimana. Due giorni dopo tutti gli ufficiali di complemento furono congedati, si chiudeva uno dei più bei periodi della mia vita. Ricordo ancora le parole del colonnello, mentre ci salutava uno alla volta, nel cortile della caserma, “Salutiamo anche il sottotenente Occhiobuono, sarebbe potuto essere un ottimo ufficiale se avesse pensato un po’ meno alle donne” Tra promesse mai mantenute di sentirci tutte le settimane, di ritrovarci una volta al mese, salutai tra le lacrime i miei commilitoni, che non avrei più rivisto.
Siamo nel 76 ho 25 anni, Eduardo ha vinto un concorso come infermiere e lavora all’ospedale Monaldi, Pino lavora al comune di Napoli, i tempi delle nostre avventure sono finite ormai siamo degli uomini. Mio padre vuole che faccia un concorso alle poste, un nostro parente, un ecclesiastico, ha promesso a mio padre che mi aiuterà a superare l’esame, ma io non me la sento di essere rinchiuso dietro uno sportello per il resto della mia vita ed in mio aiuto arriva amico Claudio.
Lui lavora in un centro di assistenza Chaffoteaux et Maury, un marchio francese di caldaie per il riscaldamento autonomo, hanno un ufficio al Vomero in via Belvedere e cercano personale, Convinco mio padre, un uomo buono e gentile, che non voglio lavorare alle poste e dopo qualche settimana dopo il mio servizio militare ho già un lavoro