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“LE ULTIME ORE DI MIO PAPA'”: QUESTO E’ IL TITOLO DEL LIBRO CHE GABRIELE PAOLINI HA INIZIATO A SCRIVERE. IL TESTO RIPERCORRE, CON SCRUPOLOSI DETTAGLI, GLI ULTIMI GIORNI DI VITA DEL GENERALE DELL’ESERCITO GAETANO PAOLINI, MORTO PER MALASANITA’, IL 3 DICEMBRE 2017, ALLE ORE 22.15.

GABRIELE PAOLINI

“LE ULTIME ORE DI MIO PAPA'”.

“Corridoio lungo, silenzioso, triste. Cosi’ appariva ai miei occhi il secondo piano dell’Ospedale “Pertini”, il 3 dicembre 2017, alle ore 19.00.
Sono arrivato di corsa, da casa, con mia mamma Bice, una donna che amo, una donna forte. Li’, nel reparto di dialisi, c’era un uomo, un padre, un marito. Era piccolo, piccolo, questo ‘GRANDE UOMO’, questo mio padre. Aveva gli occhi pieni di dolore, fatica. Era triste, forse gia’ sapeva che da li’ a poco che sarebbe morto. Con me e mia mamma, fuori dal reparto di dialisi, c’era una delle mie tre sorelle, Rossella, biologa, mia cugina Sabrina Salustri e mio zio, Antonio Paolini. Le altre mie due sorelle, Marinella, fotografa e Silvia, sociologa, erano lontane. Marinella in America, a Los Angeles e Silvia a Torino. Sia Marinella che Silvia chiamavano ogni trenta minuti, per avere aggiornamenti sulla precaria salute di papa’. Il mio papa’ era in dialisi dal tardo pomeriggio. E’ uscito intorno alle ore 19.30 un medico, una Dottoressa, di cui non ricordo il nome, che cosi’ ha detto, a me, a mia sorella ed a mia mamma: “Appena il vostro congiunto finisce la dialisi potete entrare per dargli un saluto”. Passano i minuti, lenti, lentissimi, interminabili. Alle ore 21.00 finalmente ci dicono che possiamo entrare. Io e mia mamma ci teniamo per mano. Abbiamo paura a varcare la soglia della porta. C’era il desiderio di salutare papa’, ma avevamo il terrore di vederlo sofferente. E cosi’ è stato. Papa’ era completamente steso sul suo lettino. Era senza dentiera, con il volto scavato, sofferente, stanco. Con un filo di voce ci dice che aveva trascorso una giornata di sofferenza. Era debole, era triste, era spento, insomma non era piu’ quell’uomo forte che è sempre stato. Guardavo papa’ e lui guardava me. Ad un certo punto mio padre mi dice di avvicinarmi al suo volto, mi prende la mano e mi sussurra all’orecchio: “Gabriele, dammi la forza di alzarmi”. Io lo guardo e gli dico: “Papa’ non so se posso muoverti dal lettino”. Lui, a quel punto, con voce decisa, mi ridice “dammi la forza di alzarmi”. Non era papa’ che parlava, era Dio. Mi stava salutando per l’ultima volta. E’ come se mi passasse il suo ‘Testimone’. Mi stava dicendo, attraverso Nostro Signore, che era giunto il momento di prendere la famiglia in mano. Essere io l’uomo di casa. In quel momento non capivo. Ero confuso, sudato, spaventato. Faccio per alzarlo un po’ sul suo fianco. Non ci riesco. Lui insiste. Allora vado dai medici di corsa e chiedo se posso provarlo a metterlo seduto. Mi dicono di si. Mi precipito da lui provo ad alzarlo. Non ci riesco. Sto per piangere. Allora papa’ dice a mamma: “datemi il cellulare in mano”. Glielo diamo. Papa’ prende in mano con forza il suo fedele cellulare. Lo stringe con una forza inaudita sulle sue gambe. Anche quel gesto non l’ho capito in quel momento. Io lo vedo strano, lo vedo vicino a Dio. Sto per piangere, gli tocco la mano, accarezzo il suo volto, lo bacio e scappo via dalla stanza, perché stavo per iniziare a piangere. Esco e fuori abbraccio mia cugina, Sabrina, minuta debole, stanca per la giornata. Piango, piango, piano com un bambino neonato. Ho capito subito che mio padre sarebbe morto di li’ a poco. Nella stanza è rimasta mia madre, con il suo amore, con la sua disperazione. Mamma gli da la mano, gliela accarezza. Io scendo le scale del secondo piano ed esco dall’Ospedale, per respirare. Stavo impazzendo. Passano dieci minuti e risalgo al Secondo Piano. Nel frattempo mia madre era uscita dalla stanza. C’era silenzio. C’era paura. Ad un certo punto, erano le 21.45, circa, vediamo dalla vetrata del reparto di dialisi ,dove era mio padre, un grande via vai di medici ed infermieri. C’era molto movimento, gente che entrava ed usciva dalla stanza. Io, mia mamma, mia sorella e mia cugina, ci guardiamo e rimaniamo in silenzio. Ci siamo subito detto con gli occhi che papa’ aveva delle complicazioni. Dopo 10 minuti vedo cio’ che non avrei mai voluto vedere, un macchinario trasportato da un infermiere. Li’ ho capito che quel macchinario serviva per tentare di rianimare papa’. Sono morto dentro, ero freddo. Non staccavo gli occhi da quella maledetta e trasparente vetrata. Alle 22.15 esce un medico, apre lentamente la porta, i suoi occhi cadono sui miei. Io guardo lui, lui guarda me. Senza parlare mi aveva fatto capire tutto. Papa’ era morto ed io con lui!!!”.

 

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